Intervista alla console Danese Hanne Carstensen

Hanne Carstensen Castellucci

Bilancio di quasi trentanni a Palermo

Signora Carstensen Lei è console da molti anni…

Dal 16 aprile del 1986. L’anno prossimo dovrebbero essere 30 anni. Ma ho deciso di passare la mano e quanto prima sarà nominato il nuovo console onorario.

Quando?

I tempi sono piuttosto lunghi.  La procedura inizia con la richiesta che dall’Ambasciata danese a Roma viene trasmessa alla Regina di Danimarca per passare poi al Ministeri per gli Affari Esteri italiano che dà l’exequatur.  Dopo che si siano svolte una serie di indagini che rivoltano il console proposto e la sua famiglia come un calzino. Anche la situazione economica viene valutata. Infatti il Console deve essere in condizioni da poter anticipare le spese che si dovessero rendere necessarie.

Per esempio?

Il più classico è quello del turista che perde il portafogli con i soldi le carte e i documenti.

In quel caso il console chiama il Ministero degli esteri danese che si mette in contatto con la famiglia del turista, la quale porterà il denaro necessario al posto di polizia più vicino che a sua volta li verserà al Ministero degli esteri. Intanto il console avrà fronteggiato i bisogni del cittadino.

Tornando ai controlli per ottenere la nomina a console, come mai sono così stretti?

C’è di mezzo l’immagine del Paese, che non può rischiare che un proprio rappresentante non sia una persona specchiata. Nel caso poi di un consolato onorario occorre che il console si appoggi su una sua attività preesistente. Ultimamente anche in Danimarca c’è stata la spending review ed alcuni consolati generali, come quello di Milano, sono stati trasformati in consolati onorari. Rispetto al consolato generale c’è un grande risparmio, perché il console onorario ha diritto solo ad un rimborso spese, che può essere sulle singole voci o forfettario, ma sempre nell’ordine del migliaio di euro.

Si tratta quindi soprattutto di responsabilità.

Sì certo. Io l’ho fatto per servire il mio Paese. Ciò mi ha consentito anche di mantenere i contatti con la cultura e con la lingua danesi.

Quali sono le soddisfazioni maggiori che ha raccolto in questi anni?

Probabilmente quella di essere arrivati a Corleone.

Cioè?

Nel 1998 mi chiama una coppi di giovani che si volevano sposare a Corleone. In quel periodo stavamo lavorando ad un progetto con il sindaco di Carini per portare le coppie giapponesi a sposarsi nel castello di Carini.  Quindi eravamo in tema. Il sindaco di Carini comunica la cosa all’ANSA e in poche ore si scatena il finimondo con tutta la stampa italiana a chiedermi perché mai una coppia di danesi voleva sposarsi a Corleone, puntando soprattutto sull’aspetto di Corleone posto di mafia. Mi sono seccata moltissimo, così ho richiamato questi due ragazzi ed ho chiesto: ma perché vi volete sposare a Corleone?

E loro?

Mi hanno raccontato che avevano un amico che tempo prima, trovandosi a Corleone per seguire vicende legate alla mafia per il suo giornale non aveva trovato posto nell’unico albergo di Corleone. Allora era andato al bar per chiedere “dove posso trovare un alloggio in zona?” ed il barista aveva risposto “A casa mia!”, Così il giornalista e la fidanzata sono stati 3 giorni ospiti del barista che li ha pure portati in giro.

Così si è creato questo legame.

Quando i due ragazzi si sposarono invitammo una ventina di giornalisti danesi a seguire l’avvenimento. Sono venuti tutti. Il nome di Corleone intriga e la novità era interessante.

C’era il sindaco Cipriani, fu una cerimonia bellissima. La cosa ebbe successo. Finora a Corleone si sono sposta e26 coppie, e l’uso è rimasto stabile, ogni anni un paio di coppie danesi vengono a sposarsi a Corleone. Il Comune offre la festa. Tra l’altro il Comune ha riservato un terreno dove ogni coppia pianta un alberello di ulivo, che da brullo è diventato un bell’uliveto. La piazza è stata ribattezzata piazza Danimarca e la città di Corleone ha conferito la cittadinanza onoraria a me ed al giornalista che fu ospitato dal barista, avviando così una relazione di amicizia tra Corleone e i danesi.

Adesso verranno gli studenti di 5 scuole di produzione (istituti superiori che formano ed avviano ad una professione n.d.r.) a collocare nella piazza di Corleone un parco giochi Robinson, realizzato da loro.

Dal suo punto di osservatrice ci dica cosa è cambiato in quasi 30 anni a Palermo.

In questo periodo la cosa più evidente è la crisi che ha colpito tutti e la città in particolare.

Quali sono le differenze maggiori tra il suo Paese e la città di Palermo?

Soprattutto la differenza abissale sul senso dello Stato. In Danimarca ciascun cittadino “si sente” lo Stato. Nessuno parcheggia in doppia fila perché sa che ostacola un mezzo pubblico. Ciascuno si ritiene responsabile del proprio comportamento.  A Palermo invece il senso dello stato è quasi del tutto assente, anzi dai più lo Stato è percepito con l’oppressore di turno. Ovviamente ci sono ragioni storiche profonde.

Un’altra differenza questa volta a favore della Sicilia, è l’apertura al prossimo e la disponibilità a parlare con gli altri.

In Danimarca se devi andare dal dentista arrivi in orario parli solo del tuo problema e finisce lì. Qui, invece, non succede nulla se arrivi in ritardo, magari aspetti anche tanto, però intanto fai amicizia con gli altri in sala d’attesa ed anche con la segretaria. Poi con il dentista parli anche di altre cose che non siano la cura del dente.

E poi il senso della famiglia che qui è molto più caldo. Le riunioni domenicali i Danimarca non si usano. I figli che vanno via non appena maggiorenni.  Non c’è nemmeno bisogno del sostegno della famiglia perché pensa a tutto lo Stato. Che però non dà il calore che dà la famiglia.

Che cosa hanno in comune allora Danesi e palermitani?

Sono entrambi  due popoli allegri. I Danesi sono i più allegri degli Scandinavi, forse perché sono quelli più a Sud. La Danimarca è il Sud di un altro Nord.

di Dora Di Cara



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