Se il prezzo del petrolio tornasse a essere stabilito dai paesi produttori Le riflessioni controcorrente di Salvatore Carollo

Lo scollamento tra il mercato fisico del petrolio e quello finanziario è diventato molto evidente in questa fase di assestamento tra domanda e offerta. Sembra proprio che “il mercato petrolifero sia diventato soltanto un sottoinsieme di un più globale sistema finanziario”. Salvatore Carollo analizza dinamiche e contraddizioni azzardando l’ipotesi di un affascinante ritorno al passato, allargato anche ai produttori che non fanno parte dell’Opec.

Riportiamo tra virgolette alcuni passaggi di un articolo di Salvatore Carollo di Assomineraria su “la Staffetta Quotidiana

La domanda di petrolio è aumentata a livello globale. Nel 2018  è previsto il raggiungimento del livello record di 100 milioni di barili/giorno della domanda mondiale di petrolio, nel 2014 il livello della domanda mondiale di petrolio era intorno a 92 milioni di barili/giorno.

Ciò ha obbligato i paesi Opec a mettere sul mercato più greggio di quanto avevano programmato nelle riunioni ufficiali ed informali.

Sia il greggio che i prodotti finiti (benzine, gasolio, jet fuel, oli combustibili), registrano un livello di scorte molto basse ed un livello dei prezzi relativi, rispetto al valore del greggio, abbastanza sostenuto, tenuto conto della stagionalità e delle condizioni meteorologiche, il che farebbe temere per un aumento dei prezzi.

Al contrario, l’andamento è oscillante poiché l’aumento dei fondamentali (l’aumento della domanda), è neutralizzato dall’andamento del mercato finanziario sul greggio, tendente a realizzare margini a breve, oltre al fatto che l’investimento in metalli preziosi da parte della Cina ha reso meno appetibile il greggio, il cui prezzo a questo punto sembra agganciato anche ai metalli.

Il prezzo al consumo del petrolio dovrebbe quindi scendere.

Non sarà così finché i mercati futuri prevarranno sui mercati fisici. Le fluttuazioni del mercato a futuri dei metalli si ripercuotono su quello del Brent, mettendo a nudo le complesse e, aggiungeremmo, distorte dinamiche nalla gestione della liquidità finanziaria a livello mondiale.

“Purtroppo, come avviene dal dicembre 1988, quando non si riesce a spiegare cosa succede nel mercato petrolifero e quando si verifica che i prezzi non rispettano le logiche dei fondamentali, si ricorre al biasimo dell’Opec, che costituisce ormai la gigantesca “foglia di fico” istituzionale del sistema energetico mondiale”.

“In tanti invocano ancora questo ritorno dell’Opec, una sorta di “back to the future” in un mercato le cui dinamiche hanno ben poco in comune con quello degli anni ’80. Le successive trasformazioni del mercato del Brent, dal Brent forward (15-day Brent), al Brent IPE e successivamente al Brent ICE, ne hanno cambiato totalmente identità, mercati di riferimento, soggetti che vi operano, peso delle forze in campo. Di questo occorre prendere consapevolezza.

Se si prova ad entrare nel merito di questo problema, ci si rende conto che l’invocazione all’Opec equivale ad una dichiarazione di frustrazione e di impotenza a fronte delle inevitabili manipolazioni del sistema dei prezzi del petrolio”.

In conseguenza di ciò il mercato petrolifero è soltanto un “sottoinsieme di un più globale sistema finanziario, in cui la liquidità si muove da una commodity ad un’altra, non necessariamente per le dinamiche specifiche della singola commodity. Il prezzo del petrolio può salire e scendere, ad esempio, non perché ci sia più o meno offerta o domanda, ma perché, in un certo momento, diviene più interessante investire nel rame o speculare nel mercato delle valute”.

L’importanza anche strategica del petrolio richiede che si intervenga a correggere una dinamica distorta.

“Il tema è quello di far sì che il sottosistema petrolifero riesca a ri-acquisire, all’interno dell’universo finanziario, un peso più determinante ed una maggiore trasparenza delle sue dinamiche, in modo da influenzare correttamente gli investitori della finanza mondiale.

Oggi questo non solo non c’è, ma non viene nemmeno cercato. Ed è il punto più grave della crisi. A fronte di trasformazioni estremamente complesse, gli operatori del settore (tutti, dai paesi produttori alle compagnie petrolifere) continuano a muoversi ed elaborare modelli interpretativi vecchi, da anni ’80”.

Bisogna ricomporre “un cartello che contenga l’Opec ed altri soggetti interessati alla stabilizzazione di medio lungo termine del prezzo del petrolio”.

I due modelli di intervento sul prezzo del petrolio sono:

a. Fissazione del prezzo da parte dei produttori, lasciando l’equilibrio fra domanda ed offerta alla dinamica del mercato. Ogni operatore compra o vende in funzione delle sue programmazioni operative e commerciali, contando sulla stabilità del prezzo;

b. Determinare un tetto alla produzione, lasciando il prezzo libero di fluttuare in funzione delle variabili di mercato (stagionalità, stoccaggi, aspettative).

“La  prima opzione ha funzionato finché i paesi Opec hanno rispettato il prezzo stabilito nelle loro Conferenze.

La seconda non ha mai funzionato e non può funzionare nella pratica. È praticamente impossibile controllare i flussi di esportazione dei paesi produttori, distinguere fra greggio e condensati, intervenire nei flussi “clandestini” di esportazione di paesi in guerra, avere controllo del gioco della flessibilità dei volumi caricati sulle navi (più o meno 5%)”.

“Qui nasce tuttavia il problema più grande. Siamo disposti a ri-mettere in mano ai paesi Opec il controllo del prezzo del petrolio? Siamo disposti a rinunciare alla flessibilità consentita dalla finanziarizzazione del mercato petrolifero? E soprattutto, è possibile trovare una soluzione ibrida?”

“Dal punto di vista tecnico, certamente, la soluzione esiste. Un gruppo di paesi “volenterosi”, quelli che nell’ultimo anno si sono riuniti ed hanno dato la disponibilità a tagli sulla produzione, potrebbero decidere di “fissare” un prezzo del petrolio per le vendite dei propri barili. Si tratterebbe di un gruppo di paesi che controlla almeno il 40% della produzione mondiale e quindi in grado di diventare determinanti nel sistema complessivo di approvvigionamento mondiale.

Senza farne una guerra di religione, come invece avvenne nella seconda metà degli anni ’80, si lascerebbero gli altri paesi liberi di vendere i propri barili indicizzando il loro prezzo al Brent oppure al riferimento Opec allargato.

L’esistenza di due sistemi mondiali complessivi consentirebbe di lasciare in essere il sistema finanziario globalizzato, ma di creare in parallelo un sistema guidato da produttori fisici di barili veri, che obbligherebbe il Brent a restare ancorato alla realtà del mercato fisico.

In termini diversi e con logiche più evolute e globalizzate, sarebbe una situazione concettualmente simile a quella che esisteva al tempo dei prezzi ufficiali, quando in parallelo esisteva il mercato “spot” del greggio, con quotazioni leggermente diverse.

Il mercato paper resterebbe lo strumento per le operazioni di hedging legate però maggiormente ad operazioni fisiche di partenza e tenendo conto dell’esistenza di un prezzo fisico di riferimento.

È evidente che un simile sistema richiede consensi ampi e deve vincere resistenze immense da parte di chi oggi controlla in modo esclusivo la liquidità del mercato del Brent (miliardi di dollari al giorno).

Ci vorrebbe un “Congresso di Vienna” in cui paesi Opec e non-Opec, compagnie petrolifere e stakeholder (i perdenti degli ultimi 30 anni) si incontrino per ricomporre un quadro globale scompaginato.

La necessità di un tale riordino esiste. La consapevolezza e la volontà di farlo un po’ meno. Nel frattempo, continuiamo a chiamare la mamma Opec.



I commenti sono chiusi.

YOU MAY LIKE